sconvolgente
assenza di un'epica cattolica
Sono qui, sul bordo fra la seconda e la terza età della vita,
in mano una chitarra restaurata da mio figlio a cui si è rotto il mi cantino, e
con quello quasi ogni possibilità di caratterizzazione, di sfumature. Le mie
figlie ripiegano le tende e si preparano a una nuova stagione scout. Accanto
alla “tana”, pensando ai “lupetti” che vi entreranno, riaffiora sulla punta
delle dita una canzoncina
scritta 40 anni fa da un autore cattolico (quindi sconosciuto al mondo) per il
suo bambino nel giorno del rapimento di Aldo Moro.
Gli accordi, ormai sepolti sotto trent’anni di oblio, sono
incerti bagliori. Ma il vuoto non è solo quello della memoria, il vuoto
spalancato davanti è quello di un “mondo cattolico” del quale don Oreste Benzi
diceva, pochi giorni prima di lasciarci, alla “settimana sociale dei cattolici
italiani” del 2007 (a proposito, qualcuno ha più sentito parlare o assaporato i
frutti di quelle assisi?): “…Si è persa,
si è sbriciolata e poi scomparsa la coscienza di essere popolo, popolo di Dio,
con una missione di salvezza da portare”. Penso, come spesso mi accade, a
impossibili contaminazioni, a “ponti” lanciati fra prassi e memorie non
condivise, pur se provenienti da una comune radice, magari vissute addirittura
dalle stesse persone!
Niente da fare, reciproche, ripetute censure, poi addirittura
autocensure, fino ad ammutolire e scomparire, ben oltre quanto ci ha imposto il
mondo. Nulla, assolutamente nulla (a parte, come mi dicono a casa, “il Vangelo”)
che ci unisca, di cui tutti possano dire, “ecco le nostre radici”. Già. Il
Vangelo. Ma in nome del Vangelo c’è chi benedice le cliniche abortive e c’è chi
le fa chiudere con i riti di esorcismo.
“Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta,
non interamente pensata, non fedelmente vissuta” ripeteva Giovanni Paolo
II. Contestatissimo da destra e da manca, nel suo tentativo di rendere ragione
della speranza che è in noi, censurato ieri e oggi con la sua forza ingenua,
polacca, innamorato di una fede integrale, tanto da non aver paura di
abbracciare gli sciamani o di pregare in moschea, convinto che con Cristo (come
ripeté ad Assisi ai suoi sconcertanti invitati) per annunciare che solo in Lui
vi è salvezza, possiamo invitare tutti gli uomini e le credenze fin dentro le
nostre chiese.
No, neanche Giovanni Paolo II, frettolosamente canonizzato
per essere subito rimosso e rinnegato nei fatti e nella prassi, rappresentò e
rappresenta un “punto comune”. Sbriciolata e scomparsa la coscienza di essere
popolo di Dio. Se il solare don Benzi pronunciò due settimane prima di morire
quelle parole, se un “infaticabile apostolo della carità”, costruttore di mondi
nuovi e di un popolo cosciente della sua missione di salvezza, si lasciò andare
a quella diagnosi impietosa, non sarà stato solo il mal di cuore.
La chitarra restaurata da mio figlio con una corda in meno,
mi rendo conto che posso appenderla ai salici di Babilonia: mancano la voce, le
note, l’autorevolezza per raccontare ai più giovani, per dire quanto c’è da
fare ancora, per loro e per tutti.
Finale
Ligure (SV) – Altare della Collegiata di San Biagio in Finalborgo
“Nel presbiterio,
la balaustra in marmo con angeli è opera sempre di Domenico
Bocciardo, quest'ultimo anche autore dell'altare maggiore del 1799.
La famosa particolarità di questo altare è il drappo del tavolo, che sembra di
stoffa ricamata, ma in realtà è puro marmo.”
Posso solo chinarmi, riprovare con le ginocchia il gradino
della balaustra, dimostrare silenzioso che quella è l’unica posizione possibile
per il cristiano davanti al Signore che passa sanguinante, mentre angeli
sbalzati nel marmo da chi del Mistero fece anche cultura, distendono una
finissima imperitura tovaglia a offrire il Panis Angelicus.