Ricominceremo da qui...finché ci sarà permesso di parlare, poi grideremo dai tetti...magari di un carcere ?
PRESENTAZIONE
DEGLI AUGURI NATALIZI DELLA CURIA ROMANA
DISCORSO DEL
SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Sala Clementina
Venerdì, 21 dicembre 2012
(...) La grande gioia con cui
a Milano si sono incontrate famiglie provenienti da tutto il mondo ha
mostrato che, nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia
è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però, anche la crisi
che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino
nelle basi. Mi ha colpito che nel Sinodo si sia ripetutamente
sottolineata l’importanza della famiglia per la trasmissione della
fede come luogo autentico in cui si trasmettono le forme fondamentali
dell’essere persona umana. Le si impara vivendole e anche
soffrendole insieme. Così si è reso evidente che nella questione
della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma
sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di
che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in
modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse. C’è
anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure
della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una
vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la
sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo
diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con
l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni
momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà?
Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano,
che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della
libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga
davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che
l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il
proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel
dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro,
agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella
sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con
il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali
dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono
dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana.Venerdì, 21 dicembre 2012
Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo. (...)
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