mercoledì 2 febbraio 2022


 

Don Giulio Bosco, sacerdote: 40 anni dopo la sua partenza da questo mondo vorrei parlare di ciò che ho incontrato nell'ultimo anno della sua vita in terra, il 1981, fra la mia quarta e quinta Liceo Scientifico, là dove Don Giulio insegnava. Impegnato in parrocchia, del Movimento di Comunione e Liberazione non ho mai fatto parte “organicamente”, ma in particolare in quel 1981 è stata forte la vicinanza, la frequentazione, l'amicizia con molte persone del Movimento impegnate sul fronte del “sì alla vita” nel referendum contro l'aborto. Focalizzerei in alcuni momenti la caratterizzazione che io ho di Don Giulio. Grazie a vecchi diari posso collegare anche alcune date precise.

 31 maggio 1981: assemblea di CL sul post-referendum all’Istituto delle Canossiane. Don Giulio non si tirava indietro, non era malato di protagonismo, ma non tralasciava di mettersi in prima fila quando lo riteneva necessario, credo proprio perché i fratelli se lo aspettavano lì. Come sintesi di quel lungo incontro mi ero appuntato: “Un impegno nuovo”, credo sia la sintesi di Don Giulio. Ma quello che mi è rimasto in mente è un particolare: l’ospitalità data a due “amici di Alleanza Cattolica”, una realtà a quell’epoca assolutamente ostracizzata, perché schierata a destra. Don Giulio, con grande semplicità, ha fatto spazio anche a questi due ragazzi in nome del loro farsi carico del valore della vita di quei bambini innocenti per cui avevano combattuto pacificamente come noi. Una delle sue definizioni, semplici e definitive: il valore è ciò che si ritiene vero. 

31 ottobre 1981: mancavano ormai due mesi alla partenza di Don Giulio. Insieme ad altri amici avevo organizzato una “Assemblea degli studenti cattolici” fra gli entusiasmi di alcuni, la tiepidezza e i distinguo di altri. Alla vigilia delle elezioni nelle scuole superiori desideravamo trovarci come studenti legati appunto a varie esperienze cattoliche, una cinquantina di ragazzi in una sala dell'oratorio del Carmine. Si presenta anche Don Giulio, nessun problema per lui anche se era un incontro tra ragazzi, grande gioia vederlo entrare e sedersi in fondo, nella penultima fila, ascoltare i nostri ragionamenti sulle elezioni studentesche nelle scuole in quel difficile autunno del 1981, dopo le legnate prese al referendum sulla vita, durava ancora in Polonia l’epopea di Solidarność mentre in Italia montava la campagna assillante del PCI e della sinistra contro l'installazione dei missili nucleari. Verso la fine prende la parola Don Giulio,  si cerca di arrivare a una sintesi e anche quella volta enuncia punti molto semplici: voi vivete la scuola con un senso, con un gusto, volete portare questa testimonianza della scuola? Presentatevi per quello che siete, non c'è bisogno di censurarsi e neanche di ostentare l'appartenenza cattolica, potreste usare come motto - non lo so – “Nella scuola con la volontà di vivere” oppure “Gli studenti protagonisti di una scuola piena di vita”. Così, quasi ricalcando le sue esatte parole, abbiamo presentato alcune liste nelle scuole superiori di Pavia. A chi aprire eventualmente queste liste? Lui aveva concluso il suo breve intervento con una frase definitiva: tutti quelli che ci stanno. Il compito di riempire di vita la scuola era il nostro, che portavamo un’esperienza forte e bella in noi.

Lo stile di Don Giulio: ascoltare sempre le persone, in particolare i giovani, e insieme testimoniare con determinazione ciò che “aveva riconosciuto come vero” cioè non solo i valori per cui battersi, ma prima di tutto Gesù Cristo, incontrato nella Comunità e nella Chiesa, ciò che aveva segnato la sua vita.

Di Don Giulio ricordo, ancora prima, le Messe a San Giovanni Domnarum: l'altare antico, lui quindi consacrava rivolto alla Croce, quel gigantesco Crocifisso sull'altare e la sua capigliatura dell'epoca con quella… tonsura naturale, i capelli che si diradavano, sapeva di antico. La forza delle sue omelie, che di “antico” non aveva nulla, sapeva però di autorità, di autorevolezza nel porre l'esperienza, il Fatto Cristiano. Annotazioni nei miei diari dopo quelle messe vespertine a volte diventavano addirittura endecasillabi di saluti, auguri e preghiere per “gli altri”: in quei brevi commenti al Vangelo lui si rivolgeva – attraverso i ragazzi di CL lì presenti - anche ai lontani, cioè ci passava segni, messaggi, punti di forza della Fede che naturalmente veniva di portare ad altri, anche i più lontani.

Gli ultimi ricordi di Don Giulio sono dell’autunno e incipiente inverno del 1981, all’uscita dal Taramelli, verso casa sua lungo Corso Cavour, parlava di essere significativi e veri anche nell’opporsi a quella campagna che non parlava davvero di pace, parlava solo di opporsi all'installazione degli euromissili in Sicilia; ricordava le vittime del sistema comunista di cui non si parlava mai nelle assemblee sulla “pace”. E poi Piazza del Duomo, un dicembre gelido dentro e fuori, dopo il colpo di stato in Polonia: la fine di Solidarność e tanti morti. Alla veglia di preghiera sui gradini del Duomo ovviamente c’era anche Don Giulio, non si tirava indietro, non veniva per fare lunghi discorsi, ma per essere con gli altri che pregavano, rappresentare visibilmente il suo movimento. Sempre in quei giorni una confidenza significativa ricevuta nel suo studio, l’unica volta che ci sono entrato. Era l’anno della maturità, mi era venuta dal cuore una proposta, lui insegnava filosofia e storia in quell'anno in un'altra sezione e non sarebbe uscita filosofia come materia di maturità, ma gli proposi: “Se tu mi dai una mano io porto filosofia come terza materia”. Una sfida verso una materia studiata male e poco sopportata, ma che lui poteva aiutarmi a capire, capire anche le “verità” ostili degli altri, che soprattutto nel programma di quinta si studiano. In quell'occasione si parlava anche della presenza degli studenti cattolici nelle scuole e lui mi disse, sorprendendomi – ma non più di tanto - che per quei 30-40 ragazzi decisi a una presenza significativa nella scuola, si sarebbe buttato a dare una mano a quello, responsabile o meno di CL.

L'ultimo incontro la vigilia di Natale del 1981: stavo cercavo qualcosa per i miei genitori nella Libreria delle Paoline. Ero chinato su uno scaffale basso quando entra Don Giulio, lo vedo e scatto in piedi a salutarlo, il suo ultimo saluto è la sua ultima battuta: “Marco, cosa stai facendo là sotto, stai cercando l'Assoluto?” Così ci siamo salutati, chi l'avrebbe detto, l'ultimo saluto in terra.

 Condivido volentieri questi ricordi per chi non l’ha conosciuto. Ancora oggi – non posso telefonargli o fermarlo per strada- cerco la sua compagnia, come quella di altri amici, da lontano, nella semplice recita del Rosario: nella memoria, o nell’anima, risuona la sua voce forte a iniziare il Padre nostro o l'Ave Maria e io semplicemente, come si faceva coi genitori e le nonne da piccoli, rispondo.

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